Il successo e la verità scomoda

Mi è capitato di discutere recentemente con un ragazzino mediorientale che vuole diventare un pittore a tempo pieno. Il tutto era partito da un post che vidi quasi per caso sulla mia bacheca di Facebook. Aveva scritto una sua riflessione riguardo al fatto che oggigiorno vengono presi in considerazione di più gli studenti o in generale chi intraprende un percorso di successo, vuoi di studio o lavorativo, piuttosto che gli artisti. Mosso da un impulso, quasi come fosse stato mio dovere dire la mia, ho scritto tutto quello che pensavo a riguardo, cosa che oggi vi ripropongo.

C’è stato un periodo della mia vita in cui credevo ciecamente che la professione di pittore sarebbe stata una strada, non dico in discesa, ma possibile, che ce l’avrei potuta fare in poco tempo, che bastava tanto così per svoltare. Ero sicuro delle mie capacità, seguivo sempre la vita e i successi di artisti che ammiravo e che ammiro tutt’ora, e nel vedere loro, mi proiettavo inconsciamente nella loro realtà. La sensazione che avevo era di essere un pari e non un utente che li idolatrava soltanto, quasi a pensare che l’idolatrare potesse essere un sinonimo di debolezza, di non essere abbastanza bravi. E ho dedicato anima e corpo a quello che facevo. Ho avuto delle piccole soddisfazioni, ma allo stesso tempo non mi rendevo conto che stavo vivendo in una bolla di sapone. In quel periodo sentivo nemici ogni forma di consigli che paradossalmente sto qui a dare a me stesso e a chi vuole fare questo mestiere. Ero convinto che le persone che non abbracciassero in modo esclusivo la propria passione e che quindi si riservassero un piano B, fossero delle persone che non ci credevano abbastanza, e perdevano istantaneamente di valore per me. Vedevo tutto o bianco o nero, il successo o il fallimento, non poteva esistere una via di mezzo, semplicemente non poteva esserci.

Quando sono cresciuto mi sono reso conto di diverse cose. La bolla in cui mi ero circondato scoppiò improvvisamente e mi resi conto dell’errore che stavo commettendo nel pensare di disporre delle stesse opportunità delle persone che ammiravo. Quello che ho capito è che il talento non basta, non basta quanto lo vuoi. Dove vivi, di quali risorse puoi disporre e sopratutto cosa sei disposto a sacrificare sono le cose che contano veramente.

Scegliere la pittura come unica strada oggigiorno in Italia è una follia. Le persone che comprano un quadro per il piacere dell’opera raffigurata sono sempre di meno. L’arte invece che non conosce crisi, è l’arte fatta dai grandi nomi o dagli artisti già affermati. Quando ci muoviamo su questi nomi, l’arte diventa soltanto business, diventa un investimento, diventa un modo di comunicare di essere qualcuno, di avere potere, di avere uno spessore intellettuale, in parole povere tutte cose che non hanno niente a che fare con la rappresentazione vera e propria. Oltre la cima, c’è una coltre di fumo nero fatta di promesse e speculazione, di sanguisughe, disonestà e di ignoranza. Durante il mio percorso mi è capitato spesso di essere proposto di partecipare a questa o a quell’altra mostra che mi avrebbe dato risalto e, secondo loro, sicuramente un seguito, se avessi pagato la quota per partecipare alla selezione. Se paghi forse esponi, e nel frattempo finanzi il loro evento creato sulla disperazione degli artisti. Spesso mi hanno fatto intravedere la luna nel pozzo (metafora napoletana), ma sono stato sempre consapevole che non volevo essere parte di questo meccanismo. Non volevo pagare per avere attenzione, credevo che se fossi stato bravo a sufficienza, avrei avuto l’attenzione che meritavo. Ero consapevole che chi pagava per essere nell’occhio di bue del mercato dell’arte, finiva col peggiorare le proprie illusioni per vedersi poi di nuovo al punto di partenza. Avanti ci vanno soltanto i più bravi o chi è riuscito a dare l’impressione di esserlo.

 

Tutto quello che passa durante questi pensieri però è la vita, e presto realizzai che è da incoscienti stare in attesa di sbarcare il lunario perché poteva anche non succedere mai. Qui mi ricollego al discorso del ragazzo mediorientale. Non è tutto bianco o nero, non esiste il successo o il fallimento, semplicemente non è cosi semplice. Le strade che si possono percorrere nella realtà Italiana sono due: essere disposti potenzialmente a sacrificare ogni cosa e andarsene dall’Italia oppure creare un “piano di riserva”. Io ho scelto di studiare oltre che il dipingere, e adesso guardandomi indietro mi rendo conto di quanto bene abbia fatto. Questo non  significa non crederci abbastanza come pensavo, ma semplicemente essere maturi a sufficienza per comprendere la realtà in cui vivi. L’arte è un qualcosa che puoi già avere dentro e avere la fortuna di saperla tradurre oppure puoi essere nel caso in cui ci devi lavorare per far accadere ciò, ma pretendere di poter campare di dipinti in poco tempo e di maturare artisticamente è chiedere troppo. Se ci si mette in queste condizioni, si perde anche il piacere di fare quello che si fa. Tutto diventa pesante, un obbligo, in quanto è l’unica fonte di guadagno. Si smette di fare quello che piace pur di vendere e di incontrare il gusto degli acquirenti, e quanto è misero un pittore di questo genere!. Dipingere in queste condizioni perde tutto il suo significato. Quello che voglio dire è che sgravare l’arte da quest’onere significa donargli la libertà di essere quello che vuole essere. Se non è la fonte principale di guadagno puoi permetterti il lusso di compiacere te stesso soltanto. Ho creduto per molto tempo che i pittori dipingessero per gli altri, ma in realtà dipingono per loro stessi. Il momento in cui quello che ci sarà sulla tela e che tu dipingi per te stesso, piacerà a qualcuno al punto di comprarlo allora e solo allora credo si possa dire di essere un artista.

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